Per la campagna in occasione della settimana contro l’omolesbobitransfobia abbiamo intervistato Maddison Dennison, atleta trans canadese
Recentemente ha completato il suo percorso di transizione ed è diventata una colonna portante della sua comunità sportiva, dove vive pienamente la sua passione per il rugby e per il crossfit.
Le abbiamo chiesto come è cambiata la sua vita da quando ha fatto coming out e cosa consiglierebbe per contrastare odio, pregiudizio e violenza contro le persone transgender nello sport.
Maddison Dennison è una donna transgender e ancora un’atleta di rugby, vero?
Sì, mi identifico come una donna trans e sono ancora molto attiva come giocatrice in Canada. Ho giocato le mie prime stagioni di rugby durante la transizione medica con la squadra maschile del mio club, ma negli ultimi due anni ho giocato con la squadra femminile locale.
Puoi raccontare qualcosa della tua storia? Da dove vieni, dove vivi adesso e come si è svolto il processo di affermazione di genere nella tua vita?
Vengo da Halifax, Nuova Scozia, dove vivo tuttora. Sebbene avessi pensato alla transizione fin da quando ero molto giovane, avevo così paura dello stigma che ho nascosto la mia vera identità fino all’età di 35 anni. A un certo momento era semplicemente diventato troppo, e ho iniziato a parlare con un terapista che mi ha aiutato a capire che valeva la pena esplorare la mia identità di genere e vivere in modo genuino.
Come è cambiata la tua vita come persona e come atleta dopo il tuo coming out come persona transgender?
Mi sento fortunata di aver potuto continuare la mia carriera, e che io e il mio coniuge siamo riusciti a stare insieme durante la transizione. La differenza più grande è che non mi sento più come se stessi nascondendo il mio vero io. Posso essere pienamente presente in tutto ciò che faccio, con sicurezza e serenità. Credo che questo mi abbia permesso di presentarmi in modo migliore in tutti i campi della mia vita.
Qual era il tuo contesto sportivo e sociale in quel momento? Come hanno reagito le persone intorno a te?
Durante i primi giorni della transizione avevo abbandonato del tutto lo sport. Avevo tanta paura di come avrebbe reagito il mio club. Sono cresciuta facendo sport con ragazzi e uomini che non avrei mai creduto mi avrebbero accettata come donna trans. Ma dopo aver fatto coming out e pubblicato post sulla mia transizione sui social media, molti dei miei vecchi compagni di squadra mi hanno contattata online e mi hanno offerto il loro sostegno. È stato commovente e rassicurante. Sono tornata nel rugby, e mi sono unita alla mia vecchia squadra. È stata un’esperienza di apprendimento per gli uomini con cui giocavo, e tutti mi hanno accettata e sostenuta.
Dopo essere rientrata nel mio club, le giocatrici della squadra femminile sono state fantastiche e mi hanno accolto nella loro vita sociale, quindi sapevo che non solo avevo ancora la mia famiglia di rugby, ma anche una nuova famiglia in crescita. Dopo un paio di stagioni con la nostra squadra maschile, avevo esaminato tutta la letteratura scientifica disponibile e, combinata con le mie esperienze personali, ho deciso di parlarne con la nostra squadra femminile e ho iniziato a giocare con loro. Era il 2022, e giochiamo ancora insieme.
Il coming out ti è servito anche in altri ambiti?
Durante questi anni sono stata incoraggiata ad assumere ruoli di leadership, e ora servo la mia comunità come presidente del club. Sono orgogliosa di rappresentare tutti i nostri atleti e le nostre atlete, ma sono soprattutto orgogliosa di condividere il mio amore per il rugby con la mia comunità trans, e di far loro sapere che c’è una famiglia che li aspetta nei loro club locali!
Sei stata influenzata dal recente divieto per le donne transgender nel Rugby?
Avevo il cuore spezzato dalla decisione del World Rugby del 2020 di bandire le donne trans dal rugby internazionale, poiché sembrava un punto di svolta per la comunità più ampia. Ma in quel momento non mi ha influenzato molto perché quella decisione aveva un impatto solo sui livelli d’élite del gioco, quindi non rappresentava un grosso problema per il rugby a livello comunitario. Più tardi invece, quando i sindacati nazionali in Inghilterra, Galles, Irlanda e Scozia hanno bandito le donne e le ragazze trans a tutti i livelli di gioco, sentii che dovevo fare qualcosa. Mi sono iscritta all’IGR (International Gay Rugby) attraverso uno dei suoi nuovi club canadesi, i Toronto Rainbow Griffins. Nel giro di pochi mesi mi sono convinta ad assumere un ruolo di leadership presso IGR e sono entrata a far parte del Consiglio di Amministrazione come amministratrice fiduciaria e segretaria del comitato esecutivo.
È una fortuna che il Canada rimanga inclusivo, quindi posso ancora giocare a rugby, ma il fatto che a così tante altre persone in così tanti altri paesi venga negata questa possibilità mi spinge a continuare la lotta per l’inclusione ovunque!
Cosa ne pensi della messa al bando a priori delle donne transgender dalle categorie femminili nello sport?
I divieti a priori sono terribili e ridicoli. Non solo sono discriminatori e dannosi, ma sono anche antiscientifici. Non ci sono prove empiriche che abbiano migliorato il gioco di atleti e atlete cisgender, mentre invece ci sono prove schiaccianti che abbiano peggiorato molto la vita degli esclusi e delle escluse.
Lo sport in generale, e il rugby in particolare, rappresentano una forza per la salute mentale, fisica e sociale degli individui. Questo è ancora più vero per le persone provenienti da comunità emarginate come le persone LGBTQI+. Penso che il rugby offra alle persone un modo straordinario per trovare una comunità e migliorare drasticamente la propria vita, in un momento in cui depressione e solitudine sono globalmente in costante crescita. Togliere questa opzione a qualcuno che ne ha bisogno, senza alcun beneficio identificabile è semplicemente terribile, e chi promulga tali divieti va contro lo spirito fondamentale dello sport comunitario.
Cosa pensi che si possa fare nello sport, sia a livello amatoriale che professionistico, per contrastare l’odio e il pregiudizio contro atleti e atlete transgender?
Credo fermamente che dovremmo incoraggiare le persone LGBTQIA+ a partecipare allo sport il più possibile, ma so che è difficile quando c’è tanto odio e pregiudizio. Spero che sempre più persone partecipino, e che i loro compagni di squadra e alleati si rendano conto che atleti e atlete transgender non sono persone da odiare o di cui avere paura. I miei compagni di squadra in Canada sono diventati sostenitori accaniti di atlete e atleti trans, e non credo che sarebbe accaduto senza che loro mi conoscessero.
Se qualcuno è un alleato nello sport, dovrebbe renderlo noto in modo che atleti e atlete trans sappiano che saranno al sicuro. È importante sapere che il pregiudizio non solo impedisce ad alcune persone di partecipare, ma impedisce anche ad altre di dichiararsi trans perché hanno paura di perdere la loro comunità atletica. Quindi, se pratichi sport, sappi che non solo questi atteggiamenti impediscono ad alcune persone di unirsi al tuo sport, ma potrebbero anche far vivere nella sofferenza i tuoi attuali compagni di squadra.
Laddove possibile, dobbiamo rendere lo sport pienamente inclusivo per tutte le persone. E laddove non si può, dobbiamo lavorare insieme per trovare un contesto in cui tutti e tutte possano scoprire gli incredibili vantaggi di unirsi a una comunità sportiva… magari di rugby!
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Intervista a cura di Rosario Coco
Editing e traduzione a cura di Andrea Giuliano