Deborah Compagnoni nasce a Bormio, il 4 giugno 1970. È notoriamente conosciuta come la più grande sciatrice italiana di tutti i tempi, è tra le atlete italiane e straniere che in tutta la storia dello sci alpino hanno meglio interpretato questa disciplina.

Ripercorriamo brevemente le tappe della sua carriera a partire da quando Deborah, per emulare il fratello maggiore, salì per la prima volta sugli sci a soli due anni e mezzo, vincendo la sua prima gara a sei anni. Quando lasciò gli studi per allenarsi con assiduità, dimostrò di essere portata per le specialità in cui contano le doti di velocità. A diciassette anni, infatti, è la campionessa mondiale nella categoria juniores di slalom gigante e ottiene un 4° posto in una gara di discesa libera della coppa del mondo. Alcuni brutti infortuni al ginocchio destro la costringono a rinunciare alle Olimpiadi Invernali di Calgary del 1988 e alle due stagioni seguenti. Ma l’8 dicembre 1991 arriva comunque il primo podio in coppa del mondo, proprio nel suo paese natale: nello slalom gigante di Santa Caterina Valfurva, Deborah si piazza al secondo posto. Il suo primo successo mondiale lo conquista nel 1992 durante le Olimpiadi invernali di Albertville in supergigante, a soli 22 anni, contro ogni pronostico scala il podio più alto. Tuttavia due giorni dopo, mentre gareggiava nello slalom gigante, subisce uno dei due gravi infortuni ai legamenti crociati, che hanno segnato malauguratamente la sua carriera. Il grido di dolore, ripreso dalla diretta TV, entrò nelle case di tutti gli appassionati di sci del mondo e ancora oggi a distanza di tempo è possibile risentirne il dolore non solo per la sofferenza fisica, ma anche per la disperazione della sciatrice, che vede in un istante buttati al vento anni di fatica e sacrifici e uno dei sogni più grandi di tutti gli atleti, la vittoria alle Olimpiadi.

Il ritorno sulle scene della Compagnoni si ha a Lillehammer nel 1994 dove, stavolta in slalom gigante, conquistò il suo secondo oro olimpico. La medaglia olimpica successiva è quella dell’edizione a Nagano nel 1998 in cui si riconfermò campionessa olimpica in gigante e prima atleta di sempre a vincere tre medaglie d’oro in tre diverse edizioni dei Giochi e in cui fu consacrata alla storia come una delle poche atlete in grado di vincere la doppietta speciale/gigante. Sempre a Nagano ottiene un’altra importante medaglia, quella d’argento in slalom speciale a soli sei centesimi di secondo di distanza dal podio più alto, giungendo alle spalle di Hilde Gerg.

Ma le Olimpiadi non sono i soli trionfi di Deborah, poiché tra l’oro del 1994 e quello di Nagano del ’98, ci sono le vittorie mondiali di Sestriere e Sierra Nevada e il secondo grave infortunio nel 1995 ai legamenti crociati del ginocchio sinistro stavolta.

Per completare il suo Palmares ricordiamo oltre alle vittorie olimpiche, e a quelle già citate con cui divenne campionessa mondiale di slalom gigante nelle edizioni di Sierra Nevada 1996 e Sestriere 1997, (edizione in cui è salita due volte sul podio più alto, oltre che in slalom gigante anche in slalom speciale, divenendo così l’atleta femminile più importante di quella edizione dei mondiali), le 16 vittorie totali di Coppa del Mondo in singole gare (13 in gigante, 2 in supergigante e 1 in slalom speciale) e una Coppa del Mondo di slalom gigante nel 1997; in questo tripudio di vittorie è comunque doveroso precisare che la Compagnoni ha disputato poche stagioni agonistiche complete (nel ’93, ’94, ’97 e ’98) a causa dei suoi ricorrenti infortuni, e ha gareggiato per lo più in supergigante e gigante, poiché già dopo il primo infortunio fu quasi obbligata a dare l’addio alla discesa libera, scegliendo di partecipare solo alle gare più tecniche. Tra le sue imprese va ricordata la striscia di 9 vittorie consecutive in slalom gigante nel 1997/98 (otto in coppa del mondo più una ai campionati mondiali del Sestriere) e il distacco abissale di 3″41 inflitto alla seconda classificata nel gigante di Park City nel 1997 (tra i suoi risultati di maggior rilievo vanta anche tre medaglie vinte ai campionati mondiali juniores: bronzo in discesa libera nel 1986; oro in slalom gigante e bronzo in discesa nel 1987) È il 1999 l’anno del suo ritiro e del suo addio alla vita agonistica, a Vail (Colorado, Usa) si disputano i campionati mondiali, ma la Compagnoni non riesce ad andare oltre un 7° posto nel gigante e un 8° nello speciale. In coppa del mondo finisce la stagione in ventiduesima posizione e così, anche a causa di forti dolori alla schiena che la affliggono, il 13 marzo annuncia il suo ritiro dalle competizioni ufficiali. Una carriera tanto gloriosa quanto sfortunata.

Di lei Gustavo Thoeni una volta disse: «Mi piace la sua maniera di concentrarsi nelle gare della vita. Credo che in gigante saprebbe battere anche molti uomini».

Difficile pensare quale posto avrebbe occupato nell’Olimpo dello sci alpino senza tutti gli infortuni che ne hanno inevitabilmente condizionato la carriera e (in un caso) messo a repentaglio addirittura la vita.

In realtà le statistiche, le gare, le medaglie olimpiche e mondiali finiscono però per assumere un’importanza relativa di fronte all’esempio che Deborah Compagnoni è riuscita a dare a tutto il mondo. La sua carriera dovrebbe essere presa a modello, perché nessuno più di lei ha dimostrato come nella vita non bisogna darsi per vinti, come la fede nei propri sogni possa diventare un ponte verso la leggenda. E alla fine anche la dea della sfortuna, che l’ha voluta perseguitare fin dalla tenera età, ha dovuto alzare bandiera bianca, perché lei, Deborah, è stata più forte. Dopo il ritiro dalle competizioni si è fidanzata con Alessandro Benetton, con cui ha avuto tre figli, due femmine (Agnese e Luce) e un maschio (Tobias) ed ora si occupa di moda nell’azienda di famiglia. Il 10 febbraio 2006, nella cerimonia di apertura della XX Giochi olimpici invernali di Torino, è stata protagonista della parte finale della staffetta della fiamma olimpica che si è svolta all’interno dello Stadio Olimpico. Ha ricevuto la torcia da Piero Gros, campione olimpico nello slalom speciale a Innsbruck 1976, e dopo un tratto di corsa l’ha consegnata nelle mani dell’ultimo tedoforo, la fondista Stefania Belmondo, dieci medaglie olimpiche vinte in carriera.

Da Wikisport.eu, enciclopedia mondiale dello sport a cura di Daniele Masala, giornalista e campione olimpico.